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15 LUGLIO 2025
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Scenari
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Giorgio Merli
La crescita del PIL reale come chiave del rilancio
Gran parte dei problemi economici e sociali dell'Italia potrebbero essere affrontati più efficacemente se riuscissimo ad aumentare in modo strutturale il nostro PIL reale. Un PIL in crescita genererebbe risorse per finanziare la spesa sociale (sanità, pensioni, istruzione), consentirebbe salari più elevati, una riduzione della povertà e del debito pubblico, e offrirebbe margini per gli investimenti in infrastrutture e tecnologie. In un sistema economico occidentale, la crescita non è un'opzione, ma una condizione necessaria per la sostenibilità del sistema stesso. Negli ultimi decenni, l'Italia è sopravvissuta tra i paesi di "serie A" dell'Europa principalmente grazie all'aumento del debito pubblico. Questo ci ha evitato un crollo, ma ci ha lasciati in una situazione pericolosamente vicina al default. E mentre altri paesi europei, dal 2000 in poi, hanno aumentato il loro PIL reale del 30% e i salari in modo proporzionale, l'Italia è rimasta al palo: solo dal 2021 a oggi il potere d'acquisto dei salari è sceso del 7%. Siamo schiacciati tra due pressioni: da un lato, i paesi dell'Est Europa che crescono rapidamente grazie a costi molto inferiori; dall'altro, i paesi leader dell'Europa occidentale che producono valore con beni e servizi ad alto contenuto tecnologico. L'Italia è rimasta bloccata in mezzo, senza una strategia chiara per uscire da questa trappola.
Competere sul valore dei prodotti, non sui costi
Non possiamo più competere sul costo del lavoro. Non possiamo neppure contare sull'automazione come scorciatoia, dato che anche i paesi a basso costo stanno investendo in tecnologie avanzate. L'unica strada percorribile è quella seguita da altri paesi europei: puntare su prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, capaci di generare margini e occupazione qualificata. Ciò richiede non solo innovazione tecnologica e digitale, ma anche una svolta strategica verso la sostenibilità integrata nei prodotti, nei servizi e nelle operations. La transizione verso prodotti intelligenti, personalizzabili, digitalizzati e sostenibili è la vera chiave per aumentare il valore aggiunto per addetto e dunque la produttività complessiva del sistema. In un mercato maturo, è inutile aumentare solo l'efficienza: se i volumi di vendita non crescono, l'aumento di output resta invenduto. Serve invece un salto di qualità, concentrandosi sul valore percepito dai clienti finali e sull'impatto positivo sull'ambiente e la società.
La strategia duale per il rilancio
L'Italia deve adottare una strategia articolata su due fronti: da un lato il recupero delle traiettorie di sviluppo perse nei decenni precedenti, dall'altro interventi urgenti per rilanciare la crescita nel breve termine. Questa è la logica della strategia duale: un insieme coordinato di azioni per il breve e per il medio-lungo termine. Nel breve termine, occorre puntare su settori e leve meno vincolate dai limiti strutturali accumulati. E quindi puntare sullo sviluppo dei servizi avanzati, digitalizzazione delle filiere, servitizzazione dei prodotti, monetizzazione dei dati e, soprattutto, integrazione della sostenibilità nei modelli di business. La crescita non può prescindere da un modello industriale che metta al centro l'innovazione e la sostenibilità. Solo così è possibile rigenerare produttività, attrarre investimenti, creare occupazione qualificata e restituire centralità al sistema Italia nell'economia europea e globale.
Le cause del nostro declino competitivo
La perdita di posizioni relative nel panorama europeo non è frutto del caso. Dai primi anni '90, l'Italia ha mancato l'appuntamento con i nuovi driver di sviluppo globale. La scomparsa progressiva delle grandi imprese, l'assenza di multinazionali tecnologiche, la rigidità fiscale e la fuga di headquarters all'estero hanno eroso il nostro potenziale industriale. Le PMI, seppur dinamiche, non sono riuscite a compensare l'assenza di attori di scala globale. Il nostro sistema si è adattato agganciandosi a filiere controllate da gruppi stranieri, perdendo così quote di valore aggiunto e autonomia strategica. Il risultato è stato un calo della produttività (valore prodotto per addetto), nonostante gli investimenti in automazione. A differenza di altri paesi che hanno innovato nel settore dei servizi, l'Italia è rimasta ancorata a un modello manifatturiero tradizionale, poco aperto a nuovi modelli di business.
Servitizzazione e rivoluzione nei modelli di business
Dal 2008 in poi, la crescita dei servizi ha trainato l'economia delle maggiori economie occidentali. La cosiddetta servitizzazione dei prodotti ha rivoluzionato il modo in cui beni fisici vengono offerti al mercato: non più oggetti venduti una tantum, ma soluzioni fruite in modalità "as a service". Dal car sharing agli smartphone in abbonamento, fino alle piattaforme integrate di vigilanza o climatizzazione, il valore si è spostato dalla vendita del bene alla sua gestione e fruizione nel tempo. Questa trasformazione ha coinvolto anche le imprese B2B (Business to Business), che sempre più spesso integrano hardware, software e servizi digitali in un'unica proposta. La filiera del valore si è digitalizzata e spostata verso chi detiene i dati, gestisce i flussi informativi e conosce i comportamenti dei clienti. L'Italia ha mancato questa transizione, restando prevalentemente legata alla vendita tradizionale di prodotti. Non ha sfruttato appieno la possibilità di valorizzare la propria eccellenza manifatturiera attraverso modelli di business basati su servizio, personalizzazione, sostenibilità e canali digitali diretti.
Abbiamo ostacoli culturali da rimuovere?
In effetti viene naturale chiedersi come mai siamo stati sempre in ritardo a capire e interpretare i nuovi trend. Come già argomentato, è stato proprio il non comprendere cosa stava succedendo nel mondo a farci perdere terreno negli ultimi trenta anni. Sicuramente complici di ciò sono state le molteplici miopie culturali e organizzative del nostro sistema imprenditoriale e politico. Da un lato, la tendenza a mantenere modelli di business consolidati, anche se ormai obsoleti; dall'altro, una classe politica spesso incapace di elaborare una visione strategica a lungo termine per il paese, con conseguente assenza di piani industriali efficaci e continui cambiamenti normativi che hanno alimentato incertezza. Un altro aspetto da non sottovalutare è la carenza di una cultura dell'innovazione e della trasformazione digitale diffusa in modo capillare. Le nostre PMI, pur essendo numerose e spesso di nicchia, sono rimaste isolate in ambiti produttivi tradizionali senza riuscire a inserirsi nei nuovi ecosistemi tecnologici e di servizi che stanno plasmando il futuro. Non è solo una questione di capacità tecnologiche, ma anche di mentalità, di apertura al rischio e di investimento nella formazione continua delle competenze. Inoltre, la polarizzazione tra grandi multinazionali straniere che controllano le filiere strategiche e le nostre piccole-medie imprese ha accentuato una condizione di subalternità, facendo sì che l'Italia sia diventata un "fornitore" di basso valore aggiunto invece di essere un leader innovativo. Questo gap strutturale si è ulteriormente consolidato nel tempo. Non va dimenticata nemmeno la scarsa collaborazione tra mondo accademico, ricerca e impresa, che avrebbe potuto favorire l'innovazione e la nascita di nuove startup ad alto contenuto tecnologico. Ancora oggi questa connessione appare debole rispetto ad altri paesi europei o anglosassoni.
Le possibili strategie per il rilancio del sistema economico italiano
Dopo aver analizzato le cause profonde del nostro declino relativo, è indispensabile guardare con pragmatismo e determinazione alle strategie che possono invertire la rotta e permetterci di riconquistare terreno nel contesto globale. A tal riguardo le leve da attivare dovrebbero essere le seguenti.
- Rafforzare la cultura dell'innovazione e la formazione
L'Italia ha un patrimonio straordinario di talento e creatività, ma spesso manca la capacità di trasformare queste risorse in innovazione sistemica e competitiva. Per questo, la formazione deve essere rivista in modo radicale, puntando non solo su discipline tecniche ma anche su competenze trasversali: problem solving, pensiero critico, capacità di adattamento. È fondamentale investire nelle scuole tecniche, negli atenei, ma anche in percorsi di formazione continua per i lavoratori, per aggiornare costantemente le competenze in un mercato del lavoro che cambia velocemente. Le imprese devono diventare ambienti di apprendimento permanente, capaci di attrarre e valorizzare talenti. In parallelo, serve un ecosistema dell'innovazione robusto: poli tecnologici, incubatori, fondi per startup, programmi di ricerca applicata che coinvolgano università, centri di ricerca e aziende. Il sistema italiano deve passare da un modello di innovazione frammentato a uno integrato, dove la collaborazione e lo scambio di conoscenze siano la norma.
- Puntare sulla sostenibilità come leva competitiva
Oggi, non si può competere se non si è sostenibili. L'attenzione alla sostenibilità deve diventare parte integrante della strategia aziendale, non un adempimento formale. Questo significa ripensare il ciclo di vita del prodotto, dalla progettazione alla produzione, all'uso e allo smaltimento, riducendo sprechi e impatti ambientali. L'Italia, con la sua vocazione manifatturiera e artigianale, ha un vantaggio competitivo nel valorizzare le risorse locali e il "made in Italy" sostenibile. Si può investire in tecnologie pulite, energie rinnovabili, economia circolare, creando nuovi modelli di business che rispondano a una domanda internazionale sempre più attenta e consapevole. La sostenibilità non è solo un obbligo morale, ma una fonte di vantaggio competitivo che apre mercati, migliora l'immagine delle imprese, riduce i rischi e favorisce l'accesso a finanziamenti.
- Digitalizzazione e infrastrutture
La digitalizzazione è il motore dell'economia moderna e l'Italia non può permettersi di restare indietro. Non si tratta solo di introdurre tecnologie digitali, ma di ripensare interi processi produttivi, organizzativi e di servizio. La rete digitale è la nuova infrastruttura strategica: banda larga, 5G, data center e sistemi cloud devono coprire tutto il territorio, anche le aree meno sviluppate. Solo così si può garantire un accesso equo alle opportunità digitali e sostenere la trasformazione delle imprese. Parallelamente, le infrastrutture fisiche—strade, porti, ferrovie—devono essere modernizzate e integrate con la logistica digitale, per facilitare scambi più rapidi, efficienti e meno impattanti sull'ambiente. Inoltre, la digitalizzazione della pubblica amministrazione può semplificare le procedure, ridurre i tempi e i costi per imprese e cittadini, migliorando il clima di investimento.
- Incentivare l'internazionalizzazione
Per aumentare il PIL, le imprese italiane devono conquistare nuovi mercati oltre confine, superando la tradizionale concentrazione sul mercato interno o su pochi mercati europei. Occorrono politiche di supporto mirate, come la semplificazione burocratica per l'export, strumenti finanziari di garanzia per le PMI, incentivi fiscali per le attività di internazionalizzazione e una rete diplomatica e commerciale più efficace. Importante anche favorire la partecipazione a fiere, missioni commerciali e accordi bilaterali che aprano canali diretti verso mercati emergenti, spesso più dinamici. L'export non deve essere solo vendita di prodotti finiti, ma anche collaborazione in catene globali del valore, investimenti diretti e partnership tecnologiche.
- Promuovere l'imprenditorialità e la creazione di startup
L'Italia è tradizionalmente un paese di piccole e medie imprese, ma spesso la nascita di nuove imprese è frenata da complessità normative, difficoltà di accesso al credito e cultura del rischio. Bisogna creare un ambiente favorevole alla nascita e crescita di startup innovative, con incentivi fiscali, semplificazione delle procedure di costituzione, facilitazioni per l'accesso a capitali di rischio e venture capital. Inoltre, serve una maggiore cultura imprenditoriale fin dalle scuole, per stimolare spirito d'iniziativa e creatività. Le startup sono spesso motore di innovazione e occupazione, soprattutto nei settori tecnologici e digitali, e possono aiutare a modernizzare il sistema produttivo italiano.
- Migliorare la governance e la burocrazia
Uno degli ostacoli più evidenti allo sviluppo economico italiano è la burocrazia lenta, complicata e spesso poco trasparente. Questo scoraggia investimenti, crea inefficienze e favorisce comportamenti opportunistici. Serve una riforma profonda della pubblica amministrazione, basata su digitalizzazione, trasparenza, responsabilità e semplificazione normativa. Un sistema più efficiente può accelerare i tempi per concessioni, autorizzazioni, pagamenti e altre procedure essenziali per imprese e cittadini. Una governance più chiara e partecipata può inoltre migliorare la qualità delle decisioni pubbliche, riducendo sprechi e corruzione.
- Favorire l'inclusione sociale e la coesione territoriale
Perché la crescita sia stabile e sostenibile deve coinvolgere tutto il paese e tutte le fasce sociali.Ciò significa ridurre le disuguaglianze territoriali, valorizzando le aree interne e meridionali, migliorando infrastrutture, servizi e opportunità di lavoro. Al contempo, è importante promuovere politiche attive per l'occupazione, con particolare attenzione ai giovani, alle donne e ai gruppi vulnerabili. Una società più inclusiva crea un clima di stabilità sociale e un mercato interno più dinamico, elementi essenziali per un rilancio economico duraturo.
Esempi di approcci di successo in altri paesi europei
In Europa, diversi Paesi hanno tracciato strade interessanti per combinare crescita economica, innovazione e sostenibilità, offrendo spunti preziosi per l'Italia.
La Svezia, per esempio, rappresenta un modello virtuoso grazie al suo impegno costante in ricerca e sviluppo e all'adozione di un'economia sostenibile. Qui, l'innovazione tecnologica si integra con un profondo rispetto per l'ambiente: dalle start-up che lavorano su tecnologie pulite alle imprese che adottano modelli circolari per ridurre sprechi. Questo approccio non solo ha creato un'elevata produttività, ma ha anche favorito un mercato del lavoro dinamico, capace di assorbire giovani qualificati con competenze digitali e green.
In Francia, invece, si è puntato molto sulla digitalizzazione come leva di competitività per le piccole e medie imprese, vero cuore pulsante dell'economia. Il governo ha lanciato programmi nazionali che facilitano l'accesso al credito e spingono le aziende a digitalizzarsi, oltre a investire massicciamente in infrastrutture digitali come la banda larga e il 5G. Il risultato è un tessuto imprenditoriale più solido e innovativo, capace di affermarsi anche sui mercati internazionali.
Passando alla Spagna, il Paese ha voluto superare la storica dipendenza dal turismo tradizionale investendo nella sostenibilità e nella diversificazione industriale. Lo sviluppo di "smart cities" e infrastrutture turistiche a basso impatto ambientale si accompagna a una forte spinta sulle energie rinnovabili, soprattutto solare ed eolica, che ha trasformato la Spagna in uno dei leader europei del settore. Questo ha permesso di creare nuovi posti di lavoro "verdi" e di rendere l'economia meno vulnerabile agli shock stagionali.
In Germania, la parola chiave è "Industria 4.0": una strategia che integra automazione, digitalizzazione e connettività nel cuore della produzione industriale. A questo si aggiunge un sistema di formazione professionale duale, che lega strettamente scuola e lavoro, assicurando una forza lavoro altamente specializzata e pronta a rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione. Questo mix ha garantito alla Germania una posizione di leadership nell'export e una solida crescita occupazionale.
Infine, i Paesi Bassi si distinguono per la loro attenzione all'economia circolare, specialmente nella gestione dei rifiuti e nell'agricoltura di precisione. Utilizzando tecnologie digitali, gli agricoltori olandesi riescono a ottimizzare risorse e aumentare la produttività riducendo al minimo l'impatto ambientale. Inoltre, un forte legame tra governo, università e imprese favorisce la ricerca applicata e l'innovazione.
Questi esempi mostrano come sia possibile coniugare sviluppo economico e sostenibilità, puntando su innovazione tecnologica, formazione mirata, digitalizzazione e transizione ecologica. Per l'Italia, che ha grandi potenzialità in termini di capitale umano e patrimonio industriale, la sfida è quella di trarre ispirazione da queste esperienze e adattarle al proprio contesto, superando rigidità e inefficienze. Solo così sarà possibile rilanciare il Paese con un modello di crescita moderno, inclusivo e rispettoso dell'ambiente.
Qualche esempio in dettaglio
Svezia – Innovazione e green economy
Un esempio emblematico è l'azienda Northvolt, una start-up che produce batterie al litio per veicoli elettrici e sistemi di accumulo energetico. Sostenuta da investimenti pubblici e privati, Northvolt punta a creare una filiera sostenibile europea delle batterie, riducendo la dipendenza da forniture asiatiche. Questo progetto ha creato migliaia di posti di lavoro altamente qualificati e sta contribuendo a posizionare la Svezia come hub europeo per la mobilità elettrica e l'energia pulita. Inoltre, la Svezia ha fissato l'obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2045, con politiche che incentivano il riciclo e l'economia circolare, come nel caso di IKEA, che sta puntando sempre più su materiali riciclati e prodotti a basso impatto ambientale.
Francia – Digitalizzazione delle PMI
Il programma "France Num" è un esempio concreto: si tratta di un'iniziativa governativa che offre supporto tecnico, formazione e accesso facilitato a finanziamenti per le piccole e medie imprese che vogliono digitalizzare processi produttivi e commerciali. Ad oggi, ha coinvolto decine di migliaia di imprese, permettendo loro di aumentare la produttività e aprirsi a mercati internazionali tramite e-commerce e marketing digitale. Inoltre, la Francia ha investito oltre 20 miliardi di euro nel Piano "France 2030", volto a sostenere innovazione tecnologica e transizione ecologica.
Spagna – Smart Cities e rinnovabili
Barcellona è un modello riconosciuto a livello mondiale di "smart city": utilizza sensori e dati in tempo reale per migliorare traffico, efficienza energetica, gestione dei rifiuti e servizi pubblici. Questo approccio ha portato anche a una maggiore partecipazione dei cittadini nella gestione urbana. Sul fronte delle rinnovabili, la Spagna è terza in Europa per capacità installata di energia solare, con impianti come il parco solare di Núñez de Balboa, uno dei più grandi d'Europa, che copre l'equivalente di oltre 100.000 case con energia pulita. Questi investimenti hanno favorito anche la crescita occupazionale in settori innovativi.
Germania – Industria 4.0 e formazione duale
La strategia Industria 4.0 ha dato vita a imprese come Siemens che integrano robotica avanzata, intelligenza artificiale e Internet delle cose (IoT) nei propri stabilimenti, aumentando efficienza e personalizzazione della produzione. Parallelamente, il sistema di formazione duale tedesco coinvolge circa il 60% dei giovani che scelgono percorsi tecnico-professionali, combinando lezioni in aula con stage pratici in azienda. Questo sistema è considerato uno dei migliori al mondo perché garantisce un inserimento diretto nel mercato del lavoro e risponde rapidamente alle esigenze tecnologiche delle imprese.
Paesi Bassi – Agricoltura di precisione e economia circolare
L'azienda Lely sviluppa robot per l'agricoltura, come macchine automatiche per la mungitura, che ottimizzano la produttività e il benessere animale, riducendo l'uso di risorse. Inoltre, i Paesi Bassi hanno creato un sistema integrato di gestione dei rifiuti che punta al 65% di riciclo, con il progetto "Circular Friesland" che coinvolge imprese, enti locali e università per trasformare scarti agricoli e industriali in nuove materie prime.
Questi esempi dimostrano che la chiave del successo sta nella sinergia tra politiche pubbliche, investimenti in innovazione, formazione continua e sostenibilità ambientale. Per l'Italia, prendere spunto da questi modelli significa creare un ecosistema capace di valorizzare le eccellenze locali, supportare le PMI nella digitalizzazione e mettere la sostenibilità al centro delle strategie industriali e sociali.
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